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Le relazioni web mediate

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Le relazioni web mediate

Non ci ho mai pensato, che i nostri corpi potessero farsi male. Non ho mai pensato se erano cose giuste o sbagliate, erano cose, erano i nostri giochi, era come essere fratelli e sorelle, era come essere grandi, ma piccoli ”.

Questa frase tratta dall’illuminante libro di Simona Vinci mette in evidenza le distanze tra adulti e bambini. E soprattutto, a mio parere, la percezione della realtà per una mente in crescita. Di fronte a quanto accaduto alla piccola Antonella qualche giorno fa a Palermo è diventata necessaria ed
urgente la volontà si sapere, di dire la propria, di dare opinioni al riguardo.

Come se fosse facile, come se il dare risposte offrisse delle certezze per lenire il dolore dell’evento, straziante e impensabile. Da quel momento in poi sono circolate: ipotesi, teorie, ricette e soluzioni su come gestire il complesso rapporto con i social media e le relazioni. Anche lì, come se fosse facile.

In quanto professionista delle relazioni, e avendo avuto a che fare con il tema delle relazioni web mediate non ho mai avuto ricette, né soluzioni, né regole fisse per tutti i bambini, i ragazzi o per gli adulti. Di fatto l’unica cosa che abbiamo a disposizione sono occhi e orecchi attenti per poter analizzare, capire e trovare insieme strumenti. Dunque mi sento di scrivere due righe riguardo a ciò che penso realmente delle relazioni web mediate.

Gli adulti

Spesso, durante i corsi di educazione digitale che ho condotto con i genitori mi sono trovata a fare una domanda che ha lasciato a bocca aperta. “Qual è il primo oggetto digitale con cui sei entrato in contatto?”. Nei gruppi spesso sorgevano dubbi, risate ed emergevano ricordi su videogiochi, sulle
prime consolle e altri strumenti che, relativamente al periodo storico, avevano fatto scalpore e messo in discussione le relazioni genitori/figli.

Posso ricordare, io per prima, le battaglie familiari condotte per poter giocare ore infinite con la consolle del tempo.

Questa riflessione, che sembra banale, non solo è necessaria per favorire un’identificazione con i figli nel loro rapporto con lo strumento digitale, ma anche per ripensare a cosa accadeva. Ecco, cosa accadeva? Accadeva che c’erano confini. Che il NO che veniva dato era quello e tale restava,
accadeva che era necessario gestire la frustrazione di dover smettere senza che i nostri genitori si sentissero giudicati o cattivi genitori. Inoltre noi adulti non siamo nativi digitali.

Questo è ciò che sconvolge: la nascita di internet ha segnato una grande spaccatura tra generazioni, netta, precisa e spesso poco pensabile.

Pertanto, spesso mi chiedo, come si fa a porre confini e limiti all’uso degli strumenti e dei social se noi adulti per primi non sappiamo regolare il nostro personale uso?

La mia volontà non è quella di puntare il dito o dare responsabilità, ma è necessario riflettere e ripensare a come stare nelle relazioni familiari, amicali e d’amore.

Le istituzioni educative

L’altro aspetto su cui vorrei porre l’attenzione è quello della scuola.

L’educazione digitale dovrebbe, a mio parere, essere materia di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, dovrebbe essere materia di formazione per tutti i docenti che in Italia hanno un’età media di 50 anni e quindi una grande difficoltà, anche cognitiva, rispetto all’utilizzo regolare dei social media. Io ritengo che i social, se regolati nell’uso e nel consumo, diventano delle ottime opportunità di apprendimento formale e non formale, di supporto relazionale, di creatività, di crescita e di scambio.

Tuttavia, come tutti i media, se c’è una situazione di sofferenza e disagio, diventano ottimi modi per manifestare tale disagio. Già anni fa si parlava di opportunità di sperimentazione del sé da parte dei bambini, degli adolescenti e degli adulti.

Dunque, mi continuo a chiedere, siamo pronti in quanto adulti a darci delle regole, a regolare per primi il nostro utilizzo dei social media? Siamo pronti a fornire ai bambini e agli adolescenti modelli di identificazione per garantire una crescita sana? Probabilmente resteranno domande irrisolte o come sempre, questa potrebbe essere un’opportunità per pensare, per educare, per cercare insieme strategie per noi e per il futuro, quello migliore in cui tutti speriamo.

 

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