Capitolo 3: la Colombia e le sue piccole grandi storie….
Le storie si sommavano alle storie e ad altre ancora. Nel giro di pochi mesi imparai a conoscere quel paese attraverso i visi e le voci della gente. Non era facile capire cosa stesse succedendo perché non era facile riassumere anni di storia, di conflitti, di intricate ragioni e di inaudita violenza. Per quello io lascio parlare i libri e do voce a ció che mi hanno trasmesso i colombiani, nei loro ranchitos, sulle loro strade a bordo di un mini van o di un moto taxi, nei ristorantini affollati di frittura.
Ricordo il primo giorno in cui ebbi la sensazione di entrare dentro a un libro di storia, di vedere gli effetti reali di qualcosa di cui i media parlavano ma non spiegavano. Il processo di pace tra il governo e la FARC, le ragioni degli uni e degli altri, i compromessi, gli accordi. Tutto restava sempre relegato a un livello astratto, fatto di teorie che politologi, filosofi o analisti costruivano e ricostruivano.
Quel giorno peró supposizioni e commenti furono spazzati via dalla realtà, nuda e cruda delle persone semplici, i veri eroi di questa storia. Fu in quel giorno che entrai per la prima volta in una delle ex zone rosse della Colombia, quelle in cui nessuno osava entrare. Ció che vidi fu lo scorrere ritmico della vita quotidiana pervaso dalla sensazione di aver raggiunto un posto immaginario dove non c’è Stato, istituzioni, solo la gente sola coi suoi guai.
Il signor J. cerca rifugio dal sole cocente sotto un albero grande sul lato destro della piazza. Era un contadino prima del conflitto e lo è ancora, così come quell’albero, mi dice, anche lui ha resistito agli anni più amari. Oggi a stento riesce a sopravvivere, gli irrisori aiuti umanitari non sono abbastanza per rifarsi una vita, dopo aver perso la casa, familiari e aver vagabondato per anni.
Lo spettro del passato sembrava aleggiare su ogni cosa, sulle strade piene di buche, sulla piazza in ricostruzione e persino sui lavandini secchi dove non corre acqua da anni.
Entro nella sala del centro culturale della gaita, lo strumento di vento più famoso della Colombia, i leader sociali sono seduti in cerchio, sono riuniti per un incontro sulla memoria storica, su come narrare quello che è successo. Io so veramente poco, le dinamiche mi sembrano complicate da non poter essere spiegate in poco tempo. La separazione netta che i media fornivano per individuare buoni e cattivi perdeva senso quanto più mi addentravo nel vissuto. Non c’erano più da un lato la guerrilla marxista di estrema sinistra chiamata FARC, dall’altro i gruppi armati di destra chiamati paramilitari e poi governo con esercito e polizia. Questi attori cominciavano a mescolarsi e a mescolare le storie di vita delle persone trascinandole in una spirale assurda dove ognuno ha le sue responsabilità.
“Io non parlerei di pace in colombia, direi che abbiamo firmato la fine del conflitto ma non la pace, quella è un’altra cosa” mi dice Liliana con voce commossa, felice di poter far conoscere la sua storia in Italia.Ecco la testimonianza diretta di LILIANA:
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LORENZA STRANO – Appassionata di giornalismo e viaggi, instancabile volontaria per diverse associazioni e organizzazioni locali e internazionali, Lory Strano si è lanciata dopo la triennale in comunicazione nel mondo della cooperazione internazionale. Nel 2016, anno di conseguimento della laurea magistrale in Cooperazione e Sviluppo, è passata dal lavorare per una Ong ambientalista in Spagna a fare la ricercatrice per una università in Sud America. L’ultima tappa è stata la Colombia, da dove racconta l’esperienza di una siciliana alle prese col mondo dei diritti umani in un paese lacerato dal conflitto e con tutte le carte in regole per fare la storia con il processo di pace.
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