La Q in LGBTQ+: Parliamo di non genere e di libertà sessuale
La parola “queer”, cui si deve la Q in LGBTQ+, evoca lo smantellamento e la sovversione della costruzione culturale dell’eterosessualità e del binarismo di genere imposti dalla società. Per la necessità di dare una “coerenza” all’orientamento sessuale e al genere allineato al sesso, ci viene fatto credere che la complementarietà dei generi è “naturale” e che il desiderio affettivo-sessuale verso lo stesso sesso sia innaturale, malato, da cancellare.
La pratica sessuale destabilizza il genere umano tanto da spingere ad affermare che si è donna solo nella misura in cui ci si comporta da donna, secondo quanto la società si aspetta da un essere umano femmina.
Questa imposizione di crismi sociali si chiama “eteronormatività” e impone subdolamente agli individui l’appartenenza al genere maschile o al genere femminile, senza considerare alternative.
È un dogma così radicato nelle menti che, spesso, anche chi dichiara di non discriminare le persone omosessuali prova il desiderio di volersi allontanare da un uomo che bacia un altro uomo o da una donna che bacia un’altra donna, o da persone transgender, da persone non binarie e da bisessuali.
Eteronormatività/Performatività
Abbiamo interiorizzato un costrutto sociale, o forse questo modo di vedere le cose è l’unico che c’è stato presentato. L’eteronormatività è il velo oscuro che veste tutto ciò che tocchiamo, è la veste data a ciò che vediamo (in tv, sui social, sui giornali, per strada, nelle altre persone) sin dalla nascita. È un’idea nata dagli esseri umani e divenuta egemonicamente l’unica visione del mondo possibile, puntualmente tramandata.
I teorici e le teoriche queer smascherano la creazione culturale del binarismo di genere e svelano la verità offuscata da quel velo oscuro ancora troppo pesante. Secondo Judith Butler, filosofa e autrice di “Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità”, il corpo sessuato non è un dato biologico ma una costruzione culturale. Butler parla di “performatività” per spiegare l’annichilimento della persona e l’adeguamento ad azioni e gesti dati per “giusti”, “normali”, rientranti nelle categorie uomo-donna. In poche parole, il maschio e la femmina compiono atti i che ci rendono, per la società, uomini o donne. Da qui, l’allineamento apparentemente naturale e socialmente forzato che ci porta verso il sesso opposto. È come se tutti ci annullassimo per recitare una parte all’interno di una eterosessualità istituzionalizzata.
Ecco, dietro la parola queer c’è questo.
C’è anche la lotta politico-culturale in nome della libertà sessuale. E, ancor prima, c’è la lotta per la libertà di non sentirsi una categoria, di non cedere alle richieste implicite di rientrare in generi fissi e predeterminati.
La discussione sul DdL Zan
Chi si dichiara queer vuole la rivoluzione contro le categorie, la rinascita dell’individuo, la ribellione contro un’imposizione che ben si nasconde nelle trame di una società apparentemente libera.
Naturalmente, queste parole, lungi dall’essere l’estrinsecazione di un pensiero liberamente manifestato e normalmente accolto, sono considerate da alcuni un’estremizzazione. Come se per sentirsi appartenente a un genere ci sia bisogno dell’avallo degli altri. In un quadro già esasperato dall’inibizione della personalità e dalla necessità di omologazione, si inscrive la polemica sul DdL Zan, finalizzato alla tutela di chi viene discriminato/a per il proprio orientamento sessuale o perché disabile oppure perché donna.
Già che sia nata una polemica sull’argomento, come se fosse discutibile la necessità di proteggere dai soprusi queste categorie di persone, ci dà l’idea di quanto l’Italia sia in fondo a ogni classica sulla tutela dei diritti LGBTQ+. Su 49 paesi presi in considerazione dall’ong ILGA, ci posizioniamo al 35esimo posto, distinguendoci per la mancanza di leggi che puniscono i crimini d’odio contro l’identità sessuale. L’omolesbobitransfobia emergente da questa classifica è lo specchio della barbara discussione sull’approvazione del Decreto Zan.
Perciò, quanto più dilaga l’opposizione al decreto, tanto più la teoria queer appare come un pensiero rivoluzionario ancora di nicchia.
*Un articolo di Carmela Cordova, avvocato ed esperta di multiculturalità.