Un nuovo progetto in arrivo a sostegno delle vittime di violenza psicologica
A differenza di quella fisica, la violenza psicologica non è facilmente riconoscibile.
Le sue ferite, all’apparenza invisibili, non si traducono in lividi o tagli, non provocano dolore fisico, ma le cicatrici che sono in grado di generare sono indelebili.
Chi vive una relazione abusante, e spesso si tratta di donne, il più delle volte non si rende conto della manipolazione che vive o dell’abuso perpetrato nei suoi confronti finché è troppo tardi.
Nella mia esperienza, mi è capitato di conoscere, tra le tante, una donna molte forte che, una volta venuta fuori da una relazione fortemente manipolativa, aveva descritto la situazione che aveva appena vissuto con una metafora avente per protagonista una rana.
Di norma, per cucinare una rana, questa viene immersa in acqua fredda per poi essere lentamente bollita così da non avere mai la sensazione di ciò che sta realmente accadendo. Se la rana fosse immersa in acqua già bollente, la sensazione di pericolo che proverebbe la costringerebbe a saltare fuori dalla pentola immediatamente in un balzo per mettersi in salvo.
Credo che questa metafora sia estremamente calzante ed appropriata alla situazione provata dalle vittime di manipolazione e violenza psichica. La persona che si approccia ad una storia simile non è mai consapevole di cosa la aspetterà.
Quando incontriamo qualcuno, infatti, ciò che ci colpisce dell’altro è spesso “invisibile agli occhi”: si tratta forse della familiarità o del senso di appartenenza che ci evoca una data persona o una certa situazione. Così spesso l’altro, abile manipolatore ed astuto camaleonte, ci appare in tutta la sua magnificenza come la persona che avevamo aspettato da tutta la vita, l’unica in grado di darci l’attenzione e l’amore cui abbiamo anelato da sempre. Questa persona ci sembra speciale e come venuta a riscattare la nostra intera esistenza. È lì che la rana è stata già immersa, suo malgrado, nell’acqua fresca e piacevole della pentola.
Quello che arriva dopo è spesso una storia che si ripete troppe volte, anche se i nomi dei protagonisti sono diversi.
Il principe azzurro (ma anche la principessa, se la manipolatrice è una donna) lentamente mostra altre sfaccettature del proprio io: i comportamenti messi in atto possono essere i più svariati (lunghi silenzi punitivi, sparizioni temporali, critiche piu’ o meno esplicite all’altro, ambiguità comportamentale, negazione di ogni confronto) ma il risultato è sempre lo stesso: sminuire l’altro, farlo sentire inadeguato e “colpevole” di quanto non funziona nel rapporto.
Purtroppo, questi atteggiamenti, dal momento che sono alquanto discontinui sebbene reiterati (si alternano cioè a momenti in cui torna la maschera del “principe azzurro”), non sono facilmente “interpretabili” dalle vittime che il più delle volte si ritrovano spiazzate, confuse e con la sensazione di avere esagerato nel giudicare troppo duramente l’altro.
Questo “loop” chiaramente va ad alimentare il senso di colpa della vittima che comincia a credere che in effetti la colpa è la sua, spinta dall’incapacità di comprendere come la persona amata, fino a ieri così attenta ed amorevole, possa in realtà essere la stessa persona da cui oggi lei si sente minacciata e ricattata emotivamente.
A questo punto l’acqua della pentola è già molto calda.
Purtroppo, la confusione e lo sgomento vissuti in questi frangenti sono così invalidanti da non permettere alla vittima di realizzare che “qualcosa non va”, o quantomeno di comprenderlo pienamente.
Un pugno in faccia, degli schiaffi e dei calci sono delle realtà oggettive difficilmente contestabili (sebbene spesso giustificate dalle vittime), mentre la violenza psichica e la manipolazione emotiva non sono riconoscibili da chi non ha o non ha ancora gli strumenti per smascherarle.
Forse sarebbe opportuno che ad una certa età, durante l’adolescenza, si tenessero dei corsi presso le scuole per insegnare agli adolescenti ad essere maggiormente consapevoli e a non cedere alle lusinghe di relazioni all’apparenza “perfette”. Consegnare alle donne degli strumenti per capire la manipolazione ai primi campanelli d’ allarme (che ci sono sempre) aiuterebbe forse a prevenire l’abuso prima di viverlo e quindi permetterebbe loro di comprendere queste dinamiche complesse altrimenti difficili da riconoscere e, quindi, accettare, una volta che “si è immersi nell’acqua della pentola”.
Alla vittima che sta vivendo una relazione abusante sarebbe inoltre di grandissimo aiuto parlare con altre persone che vivono o hanno già vissuto un’esperienza simile.
La condivisione dell’esperienza della violenza psichica, che si fonda su dinamiche pressoché simili, costituirebbe infatti per la vittima un primo passo verso la consapevolezza della propria non colpevolezza, aiutandola a capire che altre persone condividono la sua esperienza di sgomento e dolore e che nessuno è immune da queste dinamiche a meno che non abbia affinato degli strumenti.
Se ti rivedi in questa situazione e ti senti confuso sul da farsi, contattaci. Il MIF sta per inaugurare un nuovo sportello (“Ginestre all’ombra di Narciso”) finalizzato all’ascolto di vittime di violenze invisibili: le violenze psicologiche, appunto. Un nostro gruppo di volontari saprà ascoltarti, condividendo la propria esperienza con te, per offrirti un nuovo punto di vista da cui ripartire.