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La violenza psicologica: alcuni segnali per riconoscerla. Breve testimonianza di una vittima

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La violenza psicologica: alcuni segnali per riconoscerla. Breve testimonianza di una vittima

Tra le tante storie che ho avuto modo di “accogliere” nella mia esperienza allo sportello d’ascolto del m.i.f. vorrei riportare brevemente il racconto di una vittima di violenza psicologica.

La chiamerò Vittoria, è una donna minuta, trucco appena accennato, labbra rosse, capelli neri tirati dietro le orecchie, camicetta bianca sotto una giacca color arancio, spilla raffigurante una mimosa appuntata all’occhiello. Mi colpisce la sua espressione serena, lucida, consapevole di chi confessa qualcosa che sembra appartenere ad una sfera altra da sé.  Le sue parole sono chiare, intime. Mi racconta del suo rapporto con l’ex marito con cui ha convissuto per 10 anni.

La sua non era una violenza fisica, non mi ha mai  fatto male fisicamente, mai alzato un dito ma vivere dieci anni con lui è stato come se mi avesse fracassata di botte tutti i giorni, costantemente.

La violenza psicologica non si vede esternamente, non lascia lividi sul viso, sulle braccia, sul corpo. La sua violenza era fatta soprattutto di parole, parole crudeli ripetute ogni giorno, tutti i giorni, parole che riecheggiavano costantemente nella mia testa di giorno, di notte, quando lui c’era e quando non c’era.

All’inizio mi dicevo sono solo parole ma poi le parole entravano dentro le orecchie, andavano direttamente al mio cervello, si insinuavano nel mio corpo, trasformavano me stessa giorno per giorno; mi sentivo sporca, inutile, inadeguata, schifosa.

Le parole riducevano via via la mia dignità di moglie, di persona e di donna. Ero diventata un oggetto in suo potere, succube, schiava. Mi ero ridotta a niente, ai miei stessi occhi ero una nullità, senza volontà, mi ero convinta di essere quello che lui diceva io fossi. Spesso mi faceva delle richieste e subito dopo negava di averle fatte, aveva scatti d’ira improvvisi, a volte si metteva a ridere schernendomi, ridicolizzando un mio vestito, una mia pietanza oppure accennava una frase e la interrompeva, mi prendeva per pazza, mi sentivo pazza.  Ero completamente succube, dipendente.

Mi aveva tolto la possibilità di gestire i soldi guadagnati con il mio lavoro, con gli anni mi aveva impedito di frequentare altre persone, anche i miei parenti, i miei genitori, adducendo come giustificazione l’influenza negativa su di me”.

Mentre Vittoria parla resto lì ferma aspettando con il fiato sospeso di sapere come fosse riuscita ad uscire da quella situazione di crudeltà e fragilità. Come si può resistere per così tanto tempo?

All’inizio giustificavo le sue parole pensando che me le meritavo, a volte non mi parlava per giorni, i suoi silenzi pesavano come macigni, perché non sapevo mai la ragione. Più passava il tempo e più quel tipo di rapporto era diventato  normale.

E poi è nata mia figlia! Sopportavo per lei. Tuttavia, la sua influenza su di lei era tale da tenerla distante da me ,plasmata dalle sue parole contro di me. Questa “normalità” che aveva inglobato anche mia figlia mi ha pian piano fatto prendere consapevolezza che quel modo di vivere non era normale. Non potevo continuare a stare in quella situazione, l’atteggiamento di mia figlia ha contribuito a darmi lo slancio per reagire, non potevo continuare ad essere una nullità anche nei suoi confronti. Così finalmente, un giorno, mi sono decisa. Sono uscita da casa, solo con quello che avevo addosso e non sono più tornata”.

Ascoltando le parole di Vittoria mi chiedo come sia riuscita ad affrontare il “dopo” , come sia stato gettare i primi passi in un mondo nuovo, oltre quella linea di demarcazione che solo un atto di coraggio ha potuto consentirle di superare.

 “ All’inizio sono andata dai miei genitori, in seguito ho trovato gente che mi ha sorretta, mi ha dato tanta forza e tanta fiducia. Da quando mi sono sganciata da lui mi sono ritrovata come donna e come persona. Non ho rimpianti”.

Il suo sguardo sembra adesso essere  attraversato da una lama di tristezza, gli occhi quasi di vetro..

Mia figlia è rimasta con lui”.

A questo punto la voce di Vittoria si è interrotta, la frase è rimasta in sospeso ,il silenzio ha preso il posto delle parole.

Non era la prima volta che in consultorio mi capitava di venire “assalita” da storie di questo tipo, racconti, testimonianze dirette, complesse, vividi ricordi portati alla luce con disarmante sincerità da donne come Vittoria.

Vittoria che ha trovato la forza di reagire, di andarsene quando ha preso consapevolezza, quando ha capito che la violenza psicologica è  maltrattamento, anche se invisibile, silenziosa, sottovalutata spesso non riconosciuta, negata o addirittura nascosta. E’ fondamentale riconoscerla  per trovare la forza e il modo di uscirne.

Vittoria nella sua storia descrive gli atteggiamenti tossici, violenti:

  1. Svalutazione continua. Il partner tendeva a  svalutarla continuamente criticandola sull’abbigliamento o il trucco, con insulti continui sulla sua persona, sul suo lavoro, sui suoi rapporti con gli altri. Lo scopo della svalutazione è quello di far sentire la vittima inadeguata e non all’altezza, al fine di renderla sempre più dipendente.
  2. La tattica del silenzio. Il marito non le parlava per giorni, provocandole ansia, insicurezza, facendola dubitare delle sue stesse azioni, addirittura delle sue stesse emozioni.
  3. Atteggiamenti passivo aggressivi.  L’ex usavacomportamenti ambigui, frasi a metà, toniirritati senza motivo. Il fine ricercato è sempre lo stesso: trasmettere insicurezzaminando profondamente l’autostima.
  4. Stordimento. Il partner  la confondeva con il gioco degli eccessi di silenzio e  con accenni di parole la stordiva, la faceva sentire pazza.
  5. Discredito delle persone vicine, isolamento. Vittoria è isolata, di questo aspetto non ne parla molto. E’ comprensibile, la vittima di violenza psicologica è talmente sminuita nella sua autostima che pensa non sia importante riferirla agli altri, perpetrando lo scopo del partner di tenerla in completa dipendenza. Completamente sola e non voluta, non potrà che accettare tutte le condizioni, arrivando a cedere alle minacce e ad accontentarlo nuovamente in ogni suo desiderio e capriccio.

E arriva il momento della rottura, della consapevolezza, del coraggio. Vittoria  va via anche se le  costa il rapporto con la figlia in quel momento, ma lei si salva. Fuori da quella casa trova i genitori ma anche tante persone che la sostengono, un avvocato che l’aiuta dal punto di vista legale, una psicologa, un’associazione come il m.i.f. che la fa sentire compresa.

Vittoria mi saluta con queste parole:

 “Non bisogna mai permettere a nessuno di dirti neanche una sola volta puttana, nullità, sei inutile. Bisogna avere fiducia e credere in se stesse e nelle proprie risorse.  Avere il coraggio  di affrontare la svolta ed avere pazienza perché l’amore quello vero si recupera ed io ho ritrovato anche quello di mia figlia”.


Se anche tu stai vivendo una condizione di disagio, se pensi di essere vittima di violenza psicologica non esitare a contattare il MIF. I professionisti dell’ascolto sono a tua disposizione gratuitamente.

 

Commenti: 1

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