Come le donne vittime di violenza possono farsi spazio nel mondo del lavoro. Iniziative e agevolazioni previdenziali.
Sporgere denuncia e lasciarsi rilasciare una certificazione attestante la violenza subita per una donna è difficile. Significa aprire a un estraneo le porte della propria sofferenza, mettersi a nudo, perdere l’insana segretezza dei segni di un atto barbarico.
Per una donna, parlarne è accettare che sia accaduto proprio a lei, e non a una qualsiasi vittima tra le 6 milioni di donne di cui si parla in tv.
La denuncia, a volte, può essere liberatoria, ma spesso, in alcuni contesti, può diventare una macchia, come se essere vittima di violenza implichi una complicità con il proprio carnefice, un desiderio di farsi sottomettere, un incitamento a farsi violentare.
Combattere lo stravolgimento dei principi etici e parlare di quanto è accaduto, a viso aperto, richiedendo un percorso di protezione, è un atto d’amore per la propria dignità e per il proprio futuro di donna indipendente.
Denunciare, infatti, allontana l’autore della violenza e schiude nuove opportunità. Apre un varco di possibilità, di nuove amicizie prima impossibili, di mondi inesplorati e, perché no, anche di nuove strade lavorative e nuove tutele nel mondo del lavoro.
A cosa può servire, in Italia, farsi certificare il proprio percorso di protezione in seguito a una violenza di genere?
In presenza di un percorso di protezione certificato da un centro anti-violenza, da case rifugio o dal comune di competenza, ai sensi dell’art. 24 del d. lgs. n. 80/2015, la circolare INPS n. 53, 15 aprile 2020, prevede uno sgravio contributivo per un importo massimo di 350,00 euro al mese, ottenibile in relazione alle nuove assunzioni a tempo indeterminato. Ciò significa che qualora un contratto a termine venga convertito in un contratto a tempo indeterminato non potrà dirsi applicabile la circolare.
Le società destinatarie sono le cooperative sociali, le società di promozione umana e quelle aventi il fine dell’integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione di servizi sanitari ed educativi o attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Il datore di lavoro interessato deve inoltrare all’INPS domanda di ammissione all’incentivo, tramite il modulo on line denominato “Do.Vi”.
La circolare è, attualmente, valida fino al novembre 2020, ma attendiamo che l’INPS si pronunci sulle modalità di presentazione della domanda dal 1 dicembre 2020.
La circolare INPS n. 3, 25 gennaio 2019, chiarisce, invece, le modalità per richiedere, previa certificazione del percorso di protezione, il congedo indennizzato per le donne vittime di violenza di genere. Stiamo parlando di un congedo retribuito per un periodo massimo di tre mesi (equivalenti a 90 giornate di prevista attività lavorativa) fruibili nell’arco temporale di tre anni. Le destinatarie di questo beneficio sono le lavoratrici autonome e autonome dello spettacolo, le lavoratrici dipendenti a tempo determinato e indeterminato (sia inserite nel settore pubblico che in quello privato), le lavoratrici agricole, stagionali e domestiche. La domanda può essere presentata esclusivamente per via telematica.
A prescindere dalle iniziative dell’INPS, il concetto di inclusione delle donne vittime di genere si sta facendo posto nelle aziende, come segno distintivo di un cambiamento culturale e presa di coscienza dei problemi sociali.
Se la società o le leggi stentano a trovare iniziative inclusive, le aziende più flessibili e attente alla diversità e all’attraction di talenti meritevoli, motivate a tutelare la serenità delle loro risorse, si impongono come modello da seguire, come un nuovo schema di ideali cui ispirarsi. È il caso di Poste Italiane, premiata per il progetto “Avviamento al lavoro, donne vittima di violenza”. In particolare, Poste Italiane ha consentito la realizzazione di un Centro di avviamento al lavoro presso il Centro antiviolenza Thamaia, a Catania, prevedendo un percorso di riabilitazione di donne vittime di violenza che intendono rientrare nel mondo del lavoro. L’attenzione di Poste è ricaduta sulle due conseguenze economicamente più gravi della violenza: la mancanza di un alloggio sicuro e l’inserimento professionale.
Rifarsi una vita è possibile. Certo, le iniziative sono ancora poche, le aziende concretamente attente e rispondenti ai bisogni delle donne sono perle rare, e quelle in cui sordidamente dominano il sessismo e le discriminazioni continuano a ignorare l’esigenza di inclusione delle donne. Ma qualcosa si sta smuovendo e, per il momento, prendiamoci quello che abbiamo, sfruttiamo ogni iniziativa, illuminiamo i datori di lavoro e non smettiamo di chiedere di più.
Se anche tu sei vittima di violenza, non esitare a contattare il CONSULTORIO MIF, i professionisti dell’ascolto sono a tua disposizione gratuitamente.