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Fase 1…2…3…Sono veramente libera?

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Fase 1…2…3…Sono veramente libera?

Sono stati mesi interminabili, più difficili della vita che avevo prima della pandemia! In questi mesi ho dovuto convivere 24 ore su 24 con il mio compagno!!! Penserete: i litigi li hanno avuti tutti, qualche tono di voce più alto, un broncio in più e via…di nuovo pace!!

E invece no, io durante questa convivenza forzata ho avuto un livido in più, uno schiaffo in più e una, due, tre…tante, troppe parole offensive in più!

Sono stata costretta a vivere questi momenti di paura anche in quell’ora in cui magari prima andavo a trovare mia madre…non potevo più fare finta di dover riscendere al supermercato da sola per andare a comprare il pane o l’ingrediente che mancava per condire la pasta che DOVEVO cucinare per lui.

Fase 1…Fase 2…Fase 3…sono veramente libera?

SI!!! Oltre, agli schiaffi e ai lividi che in questo periodo sono aumentati, adesso ho qualcosa che prima non avevo…IL CORAGGIO! È la prima volta che mi sento pronta a DENUNCIARE tutte le violenze verbali e fisiche subite da lui…il mio “compagno”!!

Mi sono rivolta alle Forze dell’Ordine!

Ho raccontato la mia storia, descrivendo per filo e per segno cosa ho subito in questi anni!!!  Mi hanno detto dell’esistenza di numerosi Centri di accoglienza per donne come me, vittime di violenza, di persone pronte ad aiutarmi e a sostenermi in questo percorso, e che tutti  i comportamenti violenti che ho subìto in tutti questi anni possono essere puniti!!!

Basta trovare il CORAGGIO di denunciare!”.

Paola, finalmente libera!

L’isolamento in casa, l’unica misura che si è rivelata efficace per rallentare il virus Covid-19, non è stata per tutti una misura salvifica. Per molti di noi il concetto di casa evoca pensieri positivi: rifugio, sicurezza, amore.Per molte donne, però, non è stato così.

Durante il periodo di quarantena forzata il Consultorio dei diritti MIF aveva già informato circa il numero da chiamare nei casi di violenza domestica (per rileggere l’articolo clicca qui), oggi ne parliamo di nuovo, in modo specifico, in questa nuova fase di “semi-libertà”

Le mura domestiche sono diventate infatti un luogo insicuro, o meglio una prigione, in cui la donna-vittima di maltrattamenti, che già prima dell’emergenza viveva in un contesto problematico con il proprio marito o convivente, ha sentito il pericolo e la paura in maniera ancora più pressante.

In che senso?

In questo periodo di convivenza forzata, vittima e aggressore sono stati sempre più a contatto tra di loro, con maggiori pericoli e conseguenze negative, sia fisiche che psicologiche, da parte della prima.

Essere costrette a rimanere in casa in compagnia di una persona violenta e aggressiva ha causato sicuramente maggiori difficoltà per la vittima di scampare ai comportamenti violenti e, di conseguenza, maggiore difficoltà per effettuare anche una chiamata di soccorso.

Le donne vittime di maltrattamenti hanno dovuto subire e sopportare, ancora una volta.

E se si pensa che in contesti “normali” la convivenza forzata da Covid-19 ha portato ad avere più manualità in cucina, più tempo di riflettere sulle scelte della propria vita in termini di università, amicizie e lavoro, nelle case delle donne-vittime di violenza, come ci ha raccontato Paola, cosa è aumentato?

Sono aumentati gli schiaffi, i lividi, le offese verbali e la paura per sé e, in molti casi, anche per i propri figli. Dai dati emergenti, questi comportamenti non sono cessati nemmeno adesso, in un momento in cui le misure restrittive sono in qualche modo venute meno.

Ecco perché, oltre alla possibilità di andare a denunciare le violenze subite alle Forze dell’Ordine, trovando il coraggio che ha avuto Paola, è bene sapere che esistono delle App, scaricabili sul proprio smartphone, che forniscono un supporto alle donne vittime di violenza.

Stiamo parlando dell’ App 1522, che permette di comunicare con delle operatrici pronte a dare tutto il supporto necessario, o, ancora, la App YouPol, che permette di segnalare i reati di violenza domestica e trasmettere immediatamente dei messaggi alle Forze dell’Ordine.

Subire atti violenza, sia fisica che psicologica, all’interno di quello che non può più essere chiamato il proprio rifugio, il proprio nido d’amore e cioè la propria casa, è stato dalla legge ricondotto nell’alveo dei delitti contro la famiglia ed in particolare nel reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi.

Il reato di maltrattamenti in famiglia consiste nella sottoposizione dei familiari ad una serie ripetuta di atti di vessazione in grado di provocare sofferenze, privazioni, umiliazioni e uno stato di disagio, dolore e mortificazione costante e incompatibile con le normali le condizioni di vita.

Che vuol dire atti di vessazione continui?

Comportamenti che si manifestano attraverso atti o parole che portano a sottoporre il/la convivente a sofferenze fisiche e morali, che ledono la sua integrità e la sua libertà o che, disprezzandola e umiliandola, offendono la sua dignità.

Affinché si possa integrare il reato di maltrattamenti in famiglia occorre, però, che gli atti di cui abbiamo appena parlato siano ripetuti nel tempo, quindi che abbiano carattere continuativo e non occasionale.

È bene precisare che le condotte che rientrano nel reato di cui si parla vanno ben aldilà dei normali litigi tra marito e moglie perché sono comportamenti attraverso cui il partner riesce a far vivere in un continuo stato di sofferenza, umiliazione e mortificazione la propria compagna o moglie.

Fai come Paola, DENUNCIA!


Se anche tu stai subendo matrattamenti, bullismo o violenza domestica, non esitare a contattare il Consultorio MIF, puoi chiamare il 3311253780 o richiedere una consulenza gratuita cliccando sul bottone sottostante!

 

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