Marinella e la sua famiglia speciale!
Quando con mio marito abbiamo deciso di adottare un bambino eravamo appena trentenni, ma nel cuore avevamo un grande desiderio: quello di aprire la nostra mente e la nostra casa ad un bambino generato da altri, con una sua storia che lo avrebbe accompagnato tutta la vita. Che la sua storia lo avrebbe accompagnato tutta la vita, però, allora non lo sapevamo…
Lo abbiamo capito nel tempo.
Era il giugno del 1986 quando abbiamo presentato la domanda di adozione al Tribunale per i Minorenni di Palermo, e proprio nel giugno di quell’ anno il nostro bambino nasceva.
L’iter è stato abbastanza lungo, presentazione di documenti, colloqui con assistenti sociali, psicologi, giudici per accertare la nostra capacità genitoriale; tutto questo però non ci ha scoraggiato ed abbiamo affrontato i colloqui con fiducia.
Noi siamo stati fortunati: dopo appena “nove mesi”, esattamente quanto una gravidanza biologica, ci è stato affidato nostro figlio, un bambino di appena 8 mesi.
Meraviglioso…penserete voi.
Sicuramente meraviglioso per noi.
Quel bambino, però, in quei 7 mesi di vita era sceso all’inferno; a sette mesi, quando l’assistente sociale lo aveva portato via dalla sua famiglia di origine, pesava appena 3,600 Kg. ed aveva bruciature di sigarette sul suo corpicino.
Quell’inferno, di cui lui non ricorda nulla, se lo porta ancora dentro.
Dopo appena tre mesi, a giugno del 1987, mi resi conto di aspettare un figlio: Roberto nasce a marzo 1988.
Agli occhi di alcuni vicini, amici e qualche parente eravamo un nucleo familiare strano; certi conoscenti ci domandavano :“Siete pentiti di non aver aspettato abbastanza?”, oppure “chi è il figlio tuo, chi è l’altro?”… Non era scontato che gli altri capissero, ed al contrario era facile che gli altri guardassero con occhi diversi il figlio acquisito e quello naturale.
I sottintesi, le difficoltà, i paragoni tra maternità biologica e adottiva diventavano macigni, specialmente quando queste domande venivano fatte anche davanti ai bambini.
La nostra risposta era il nostro muto esempio, il nostro amore incondizionato per i nostri figli.
Francesco quando è arrivato a casa nostra, era un bambino che non piangeva: si svegliava accendendo la luce, si addormentava spegnendola.
In poche parole aveva completamente appiattito i suoi bisogni.
Dopo una settimana che era con noi Francesco ha pianto, e mentre lui piangeva io e mio marito ci abbracciavamo e piangevamo…di felicità.
Moltissime sono state le soddisfazioni, i primi tempi tutto era frutto di quotidiane conquiste, perchè in un’esperienza di questo tipo niente può essere dato per scontato.
Dopo i primi anni, e con l’ingresso di Francesco alla scuola elementare, tutto si è complicato: scriveva sui fogli come se le righe, o i quadretti, non esistessero; saltava alcune frasi o le scriveva due volte; la sua calligrafia era quasi illeggibile. Con la lettura un disastro, scambiava la “b” con “p”, la “g” con la “c”, non riusciva nonostante grandi sforzi a leggere in maniera fluida; con la matematica è stato un dramma, a casa contavamo con le dita o con le mele, e questo sembrava funzionare; non riusciva a memorizzare le tabelline.
Con l’aiuto dei suoi insegnanti abbiamo scoperto che il bambino, anche se perfettamente intelligente, era: dislessico, disgrafico e discalculo, in un periodo in cui per questi bambini non esisteva alcun supporto ed ausilio.
Ma i problemi più gravi sono sopraggiunti con l’adolescenza, che è sempre e comunque un «momento forte» per la vita non solo del ragazzo, ma di tutto il nucleo familiare; ed è stato in questo periodo che abbiamo dovuto fare i conti con problemi di salute più gravi.
É stato allora che siamo stati travolti da uno tsunami.
La nostra famiglia ha cominciato a vacillare; Roberto, anche lui in piena adolescenza, comincia a rifiutare il fratello…sicuramente non riusciva a sopportare il nostro dolore, le nostre lacrime e la nostra paura di essere incapaci a gestire la situazione.
Non abbiamo mai pensato, però, che dietro i primi sintomi di Francesco ci potessero essere “vizi di origine, qualche oscura ereditarietà o il richiamo genetico a condotte sconvenienti, che ci facessero prendere le distanze da lui”.
Marinella Governale e suo figlio Roberto raccontano al Consultorio MIF il loro modello di famiglia all’interno della video-rubrica “STORIE DI DIRITTI”
Siamo caduti, ma ci siamo rialzati, ci siamo fatti aiutare, tutti assieme abbiamo fatto un lungo periodo di terapia familiare, che ci ha permesso di superare le nostre insicurezze, le nostre paure e soprattutto di accettare il disturbo di Francesco.
In questo cammino ci ha salvato l’unità della nostra coppia, l’avere avuto entrambi una direzione chiara, di credere in un confronto continuo e, soprattutto, la condivisione dei nostri valori. Non abbiamo mai smesso di parlarci, di confrontarci.
L’adozione non è un atto di bontà, non mi piace quando qualcuno ci definisce “bravi” o “generosi”.
Quando abbiamo deciso di intraprendere questo percorso, non avevamo in mente di fare un atto caritatevole, ma volevamo un figlio, come tutti i genitori biologici.
L’adozione è un dono d’amore.
Per finire posso affermare senza ombra di dubbio che le lacrime di gioia o di dolore che in questi anni ho versato per Francesco e per Roberto hanno avuto sicuramente lo stesso SAPORE.
Si precisa che questo è solo un aspetto di un problema più ampio, che tratteremo nella sua interezza negli approfondimenti successivi. Prosegui la lettura con il prossimo articolo cliccando qui
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